Chi dalla piana di San Polo indirizzi lo sguardo verso nord, incontra la Maddalena, montagna di casa dei Bresciani, ai piedi della quale correva la via Emilia Gallica.
“La via usciva dal perimetro murario cittadino all’altezza della porta che nel medioevo fu chiamata di S.Andrea, e piegava verso sud-est, costretta a seguire con leggere ondulazioni le falde del colle Maddalena fino all’attuale abitato di , dove era un’importante area sacra consacrata a Mercurio” , che ebbe, secondo Albino Garzetti, il periodo del suo massimo splendore nel II e III secolo d.C.
A poche centinaia di metri dall’abitato di S.Eufemia sorge quello di Caionvico: Callionis Vicus, il borgo di Callione, secondo alcuni, ma più correttamente il toponimo è da riferire al termine celtico caion, che indica uno sperone di roccia incombente, così come è del resto quello che separa Sant’Eufemia da Caionvico.
In viaggio con Callione
Callione, dunque, pare essere personaggio immaginario e proprio per questo, sul filo della fantasia, lo seguiremo, in un viaggio altrettanto immaginario, dal centro dell’urbe (Colonia Civica Augusta Brixia) verso casa.
Callione seguendo il decumano massimo (via Musei) conduce il cavallo al passo. La giornata è primaverile. Il sole splende nel cielo terso dalla pioggia del mattino e riscalda senza infastidire; penetra dolcemente nelle ossa e riempie il corpo di vigore. Il vecchio soldato guarda il carro che lo segue, condotto dai servi e trainato dai buoi. Al mercato ha fatto buoni affari e torna a casa soddisfatto. Il cavallo conosce la strada; al bivio, là dove la via Emilia Gallica si diparte da quella che piega a sud, verso Mantova, punta il muso verso est, le froge dilatate ad annusare l’aria profumata. A sinistra il ronco si estende a perdita d’occhio ed è trapuntato di bianco e di rosa. I frutteti sono in fiore. Lo sguardo indugia su una lapide, che indica la tomba di Gaius Iulius Merkator, del padre Proclus e della Moglie Alias Biblis. A pochi passi c’è quella di Tunius Quietus e di Titus Publicius Pardalus. Uomini in gamba. Uomini probi. Soldati di valore e poi mercanti, che hanno contribuito a dare lustro e sviluppo a Brixia. Uomini il cui ricordo è vivo nella mente del vecchio soldato, che non dimentica gli anni delle battaglie e il valore degli amici. Molti di loro sono scomparsi ed ora riposano lungo il percorso che porta dall’urbe verso l’area sacra a Mercurio e che prima, quando i brixiani erano solo Cenomani, era dedicata a Lug-Belenus.
L’incedere è lento. Fretta non ce n’è. Per Callione è tempo di godersi il sole, di riempirsi gli occhi del verde dei campi, trapuntato dal bianco delle margherite, dal giallo solare e vibrante del tarassaco in fiore, dall’azzurro dei “non ti scordar di me”. La pioggia è stata abbondante e l’inverno mite. I semi hanno dormito a lungo nel ventre della Dea Madre e sono pronti a dare buoni frutti. La stagione delle messi si annuncia abbondante ed anche gli ulivi e le vigne, allineati nei terreni e nelle balze di Casaforis lasciano intendere che il raccolto sarà di buona qualità.
“Ave”. La voce del soldato, forte e decisa, scuote Callione dai suoi pensieri. “Ave”.
Il posto di guardia annuncia l’entrata nell’area sacra. A pochi passi c’è il tempio di Bacco, un’ampia costruzione che copre il terreno tra la via e il pedemonte. Da una fonte l’acqua sgorga copiosa. Un’ara triangolare, con a sbalzo l’effigie del dio che reca nella sinistra il tirso, è visibile anche ai viandanti.
E’ tempo di una sosta per l’abbeverata del cavallo e dei buoi e per quattro chiacchiere con il comandante del presidio. Quattro chiacchiere tra vecchi soldati. Anche Sextus Valerius è una vecchia gloria dei campi di battaglia. A differenza di Callione ha scelto di rimanere in servizio. Devoto agli dèi e a Mitra in primo luogo, ha scelto di stare a guardia di un luogo sacro. Doppiamente sacro: ai Romani e ai Celti. E lui, figlio di due etnie, Celta per parte di madre e latino per ascendenza paterna, sta in Casaforis a guardia di tutti gli dèi e delle antiche devozioni, come quella dell’acqua e delle fonti.
Non è forse la Dea Brixia lo spirito di una fonte? Sextus valerius è abituato ad ascoltare la voce della “fonte”: quella che parla al cuore degli uomini e che sgorga più a est, sulla strada che conduce al vico di Callione, nei pressi dell’area sacra a Mercurio.
Sextus ogni giorno osserva i viandanti che giungono a Casaforis per sapere dalla “fonte” oracolare il proprio destino. Sostano al tempio di Bacco, si bagnano e si purificano alla sua fonte; proseguono poi fino al luogo dove l’acqua sgorga copiosa e gorgogliante, uscendo dalle viscere rocciose della montagna e, dopo il responso di “colei che parla bene” (Eufemia, direbbero i greci), entrano nell’area sacra a Mercurio per ringraziare il dio e chiedere al messaggero degli dèi di portare a loro desideri, offerte, preghiere.
Per Callione è diverso. I due si conoscono da tempo e il dialogo va spesso verso luoghi lontani e si perde lungo le vie della memoria.
Un salto nel tempo
Facciamo ora un salto immaginario nel tempo.
La primavera è inoltrata. Un tempo, in quei giorni tiepidi, i Celti festeggiavano Beltane. Lug, il dio luminoso, era tutti gli dèi e sul colle, a nord dell’area sacra, i druidi osservavano il cielo, leggendo le stagioni e i presagi.
Il tempo scorre. I secoli passano veloci. Siamo nella prima metà del Millecinquecento. Brescia è sottomessa alla Repubblica di Venezia. Fratel Bartolomeo esce dal monastero di S.Eufemia entro le mura, lascia alle spalle il porticciolo di Torlonga e si incammina per i campi verso S.Eufemia, l’antica Casaforis, dedicata alla santa al tempo dei Longobardi.
Le lapidi romane che a Callione suscitavano il ricordo di vecchie amicizie d’arme sono scomparse. La terra e l’incuria le hanno consegnate all’oblio.
Sotto la veste il frate benedettino porta, ben nascoste, tre monete e una lettera.
Brescia è centro di studi scientifici, ma i tempi non sono propizi. Nel monastero alloggia di nuovo Teofilo Folengo. Nicolò Tartaglia sta per pubblicare Nova Scientia e Giovanni Bracesco il suo “Dialogo d’alchimia”. Dopo la scoperta dell’America e l’invenzione della stampa il mondo intellettuale è percorso da nuovi fremiti.
Nell’aria ci sono la riforma luterana e la reazione della Chiesa. C’è fermento, ma si annunciano tempi duri e bui. La Serenissima è tollerante, ma è necessario essere guardinghi.
Il monastero edificato nel 1008 dal vescovo Landolfo II, sul luogo dove sorgeva il tempio di Bacco, è ormai un grande edificio in disuso. I suoi locali sono in gran parte adibiti ai lavori agresti, che fervono nei possedimenti dei benedettini. La chiesa e i locali abitati dai monaci sono stati abbandonati a causa delle guerre e dei saccheggi e la vita religiosa si svolge nel convento di S.Eufemia entro le mura, costruito nella prima metà del Quattrocento.
Frate Bartolomeo supera il vecchio monastero e va oltre. E’ diretto verso la parte est. Il borgo, infatti, si è sviluppato a ovest, verso Brescia, attorno al monastero e a est, nei pressi dell’antica fonte oracolare, dove ora risiedono i vassalli dei monaci, con le loro cascine, i mulini, le segherie. Quella a est è la parte più viva e attiva dell’abitato di S.Eufemia, e lì, a nord della fonte, ospitato negli edifici di servizio della fattoria principale, vive, protetto dalla curiosità e dagli sguardi indiscreti, un astrologo alchimista. Vive isolato, ma è in contatto con il fermento culturale del mondo. Di lui nulla si sa e nulla si deve sapere, ma la gente del luogo, che lo osserva con sospetto e con timorosa riverenza, crede sia un antico, un uomo d’altri tempi, legato alla fonte e alla sua “voce”. Per il frate è solo un amico, un fratello, un maestro da proteggere.
Il museo della “1000 Miglia”
Il quadro sfuma. Dalla nebbia del tempo riemerge la realtà odierna. Oggi il monastero sta per diventare un museo. Un museo dell’automobile, simbolo e mito dei tempi moderni. Sull’area sacra è calato il silenzio. La fonte è stata tappata con un muro di cemento. E tuttavia l’antica voce dell’acqua, nella quale credevano gli antichi abitanti di Brixia, è tornata a farsi sentire; è riemersa all’improvviso nella vasca del monastero benedettino, suggerendo ai distratti uomini del terzo millennio antiche radici, arcani messaggi e la voglia di scavare nelle profondità della storia.
In attesa che qualcuno scavi davvero, proviamo a farlo virtualmente, mettendo in ordine le notizie relative ai ritrovamenti effettuati in varie epoche.
I ritrovamenti
Da Brescia a Sant’Eufemia incontriamo solo tombe, disseminate lungo tutto il percorso.
Giunti a S.Eufemia ci troviamo di fronte alla prima notizia interessante: il ritrovamento di un’ara dedicata a Bacco.
Si tratta di un ritrovamento del 1830, avvenuto nei pressi della santella antistante il monastero. Durante i lavori di costruzione di una ghiacciaia viene trovata un’ara triangolare, dell’altezza di circa un metro, in marmo di Botticino. Su una delle facce è scolpito in bassorilievo un Bacco o un baccante con il tirso in mano.
Siamo nella parte a ovest del borgo, dove nel 1008 venne edificato il monastero benedettino.
A est i ritrovamenti riguardano l’area dedicata a Mercurio.
Dei ritrovamenti relativi all’area sacra celto-romana in S.Eufemia si trova riscontro nel saggio di Lazzaro Giacomelli: “Alcune lapidi bresciane dell’età romana”, pubblicato dai Commentari dell’Ateneo di Brescia.
Giacomelli ricorda come alla fine di marzo del 1945, nel campo di proprietà del signor Battista Gasperini, a est del borgo, fossero eseguiti dei lavori di scavo per ricavare trincee militari e come dal terreno smosso fossero usciti un’ara votiva in marmo di Botticino, dedicata nel secondo secolo a Mercurio (Mercurio Votum Solvit Libens Merito), un’altra ara simile, sempre dedicata a Mercurio (Mercurio Caius Ingenus Sabellus Votum Solvit Libens Merito), muri di fondazione e tracce di una strada, sempre di età romana.
Il borgo di S.Eufemia della Fonte, come ricorda Lazzaro Giacomelli nel saggio citato, “era già noto, oltre che per parecchie lapidi sepolcrali, anche per nove iscrizioni votive al dio Mercurio”.
“Fra l’anno 1784 e il 1786 - scrive in proposito Albino Garzetti - vennero casualmente in luce a S.Eufemia della Fonte, presso la strada maestra, a oriente del paese, un grande peristilio con la dedica di un aedes e di un signum a Mercurio, e nove piccole are tutte dedicate al medesimo dio. Esse furono acquistate dai fratelli Marchesi Picenardi, e trasportate nei giardini della loro villa di Torre de’ Picenardi, presso Cremona. Nel 1868, vendute dagli eredi Picenardi, le nove are con l’epistilio passarono a Milano, nel cortile del palazzo Brera, da dove nel 1898 furono trasferite nel Castello Sforzesco, dove attualmente si trovano. Nel 1945, il 22 gennaio, mentre si costruivano trincee militari negli stessi luoghi della prima scoperta, furono trovate altre due dediche simili, che si trovano ora nel museo romano, nella cella maggiore del Capitolium. E’ facile congetturare dal numero e dall’uniformità delle dediche scoperte, dall’iscrizione dell’epistilio (CIL V 4266) ora a Milano, dai resti di edifici venuti in luce nel 1945 (e anche nel secolo scorso in scavi praticati nel 1808 da Domenico Vantini e più tardi da Luigi Basiletti, e in scoperte casuali, come quelle del 1830 di Pietro Filippini), che nel luogo esistette un centro del culto a Mercurio, il dio romano che assorbì una delle divinità celtiche più venerate, anche se non ne è certo il nome (Teutates?). Il periodo del massimo fiore del santuario dovette essere fra il II e il III secolo d.C., ….”.
Giancarlo Piovanelli, in proposito, ricorda: “Nel luogo prima sacro a Mercurio, come dimostrerà Domenico Vantini nel 1808, esisteva già una piccola chiesa dedicata, a partire dall’anno 761, a S.Eufemia, ….”, probabilmente con un piccolo cenobio che il vescovo Benedetto aveva dato in custodia al chierico Pietro. Della chiesetta parleremo in seguito.
L’insieme dei ritrovamenti consente di affermare che ad oriente di S.Eufemia esisteva un’area sacra, dedicata a Mercurio, di una certa dimensione, visto che si estendeva ad occidente del campo Gasperini e a nord e sud del Naviglio.
Il Giacomelli ipotizza una zona di “forma pressappoco rettangolare”, di circa 250 metri di lato est-ovest e di circa 200 metri di lato nord-sud, con una superficie di circa 50 mila metri quadrati, “posta a cavaliere della strada regia e del Naviglio”.
Attorno al muro di fondazione rinvenuto nel 1945 pare esistesse un tempietto. La prova dell’esistenza di un altro tempietto la si riscontra nell’epistilio marmoreo rinvenuto nei pressi della Cascina Pedercini, dove sono venuti alla luce anche avanzi di un’edicola a pianta circolare di 8,50 metri di diametro.
Sin qui la parte più propriamente archeologica, sulla quale varrebbe la pena di “scavare”.
Vediamo ora chi era Mercurio per i Celti e per i Romani che popolavano l’antica Brixia (Brixia=la Magica? - brixta= magia) e che cosa rappresentava per loro l’area sacra di S.Eufemia.
Lo studioso bresciano Leonardo Urbinati, nel suo saggio: “I culti pagani di Brescia romana”, edito dai Commentari dell’Ateneo, sulla base dell’analisi dei ritrovamenti archeologici e delle isoglosse religiose scrive: “Con le sue 106 epigrafi, Mercurio occupa tra le divinità della Gallia Cisalpina il secondo posto, dopo Giove con 195; le stesse posizioni si mantengono sul Territorio Bresciano, ma la differenza diventa quasi insignificante: 34 dediche per Giove e 33 per Mercurio. Tuttavia se si considera isolatamente la Sezione del volume V del CIL (il catalogo italiano delle lapidi, ndr) comprendente la città di Brescia, che è il maggior centro di culto per il sommo dio celtico in tutta la Cisalpina, vediamo Mercurio conquistare, con notevole vantaggio, la supremazia numerica”.
Segno questo, dice Urbinati, del “perdurare nella sana e giovane popolazione Cisalpina, e a Brixia in particolare, di quello che potremmo chiamare un vero e proprio spirito celtico“, inteso come “sostrato di costumi, di tradizioni, di usanze, di modi di agire, che forma, per così dire, la trama del tessuto che vediamo riaffiorare ad ogni momento sotto l’ordito degli elementi latini”.
Dei Celti Cesare, descrivendo i loro costumi, diceva: “Tra gli dei onorano in primo luogo Mercurio … “.
Seguiamo ancora Urbinati, il quale, a proposito, sostiene che sotto il nome di Mercurio gli antichi Bresciani onoravano il dio gallico protettore delle invenzioni, delle mercature, dei guadagni e guida dei viandanti, ossia, aggiungiamo noi, Lug.
“Naturalmente Mercurio è Lug”, scrive infatti Margarete Riemschneider, studiosa tedesca della civiltà celtica, nel suo “La religione dei Celti”.
Françoise Le Roux e Christian J. Guyonvarc’h, due fra i più importanti studiosi della civiltà celtica, la prima specialista di storia delle religioni e il secondo professore di celtico all’Università di Rennes, fanno anch’essi corrispondere Mercurio a Lug, il dio luminoso che, seduto con le gambe incrociate, gioca con la scacchiera. Lug è anche l’equivalente del Cernunno camuno: il dio cervo.
Lug, Lugus nella scrittura latina, detto in gaelico Samildanach, il Politecnico, è al di fuori di tutte le classi e al di sopra del panteon, anzi: Lug è tutti gli dei . L’importanza dell’area sacra di S.Eufemia acquista maggiore spessore se si considera quanto sostiene Alberto Albertini a proposito di Brixia.
Scrive Albertini che nel primo secolo avanti Cristo, “nel luogo sacro a Brixia”, detta “dei Cenomani”, sorse la città romana. Un luogo, quello di Brixia, “che doveva essere sacro da tempo per le genti del territorio, forse presso una fonte … ”
“Determinante per la Forma Urbis - continua Albertini - fu a Brixia l’esistenza e la posizione del santuario preromano, sul quale si suppone costruito il cosiddetto tempio dell’età repubblicana. Quale divinità vi fosse venerata non si sa e sembra assai difficile arrivare a saperlo. In via di ipotesi si potrebbe pensare anche a Brixia, divinità delle acque o forse di una fonte, venerata ai piedi del colle, …., mentre sul colle, sulla vetta del colle, oggi chiamato “il Castello”, sarà stato onorato piuttosto il dio Bergimo, tanto più se, come per solito è creduto, era una divinità montana”.
Il culto di Brixia
“Il culto di Brixia - scrive ancora Albertini - sia che fosse stato importato dai Galli sia che fosse già sorto al tempo in cui i “Liguri” erano insediati in possesso di industria litica sul Castello e fosse stato rispettato dai Galli, poteva essere stato accettato o mantenuto presso la comunità latina organizzata nel luogo dopo la concessione dell’ius Latii, e anche successivamente presso la comunità di cittadini e la colonia augustea almeno per un certo tempo, se qual culto era attestato da un’iscrizione latina della prima età imperiale. Anzi per Brixia preromana anche sotto i Galli, il luogo, poteva essere stato un centro religioso e l’ufficio di capitale dei Cenomani, che Tito Livio (XXXIII,30,6; cf. anche V,35,1) attribuisce a Brixia, poteva intendersi come dovuto al prestigio del luogo, adatto anche per la sua posizione naturale alle riunioni dei capi tribù e di gente armata”.
Albertini fa notare come non si possa propriamente parlare di capitale dei Cenomani, né di vere e propria città e tuttavia rimane il senso dell’importanza di Brixia per la tribù cenomana.
Ora, se consideriamo che Mercurio è Lug e che Lug è divinità di primaria importanza per i Celti, si può ipotizzare che, nel quadro di un insediamento particolarmente rilevante sotto il profilo spirituale come lo era Brixia, l’area di S.Eufemia fosse un punto di riferimento tra i più significativi.
L’area sacra di S.Eufemia, dunque, si propone come un importante centro spirituale celtico della Gallia Cisalpina, dedicato a Mercurio-Lug e quindi a tutti gli dei o meglio, all’unico dio che è sopra tutti gli dei ed è tutti gli dei.
Sant’Eufemia della Fonte e il suo nome antico: Casaforis
A questo punto è interessante affrontare la questione del significato del nome antico del borgo.
Nei Codici Diplomatici riportati dall’Odorici si ritrovano varie denominazioni, riguardanti un luogo, un borgo (vico), una fontana e una località, la cui radice appare evidentemente comune.
Nel IV codice “Le ville Nuvellana e Aureliana”, anno 961, 11 febbraio, uno dei testimoni dell’atto riportato viene indicato come “martini filius quondam roperti de vico caza-ferrea”. Nel gennaio 1037 (Codice XLVI, riguardante “Le convenzioni tra il vescovo Odorico ed il popolo bresciano”) si legge, a proposito dei beni del monastero di S.Eufemia: “… et fontana que nomenatur casaferrea”. Nel Codice XLVII del maggio 1038, riguardante un atto di permuta tra il vescovo Odorico e Gilberto, abate di S.Eufemia, si legge: “… Monasterio S.Euphemia Virginis, sito latere monte q.Cazaferio dicitur, …”. Nel Codice XLVII del 27 giugno 1038, Otta, badessa di S.Giulia e Giselberto, abate di S.Eufemia, stipulano un atto di permuta, nel quale si legge: “… monasterio S.Eufemie sito foris civitate brissie latere monte Casofero dictus …”. Infine, nel Codice XXXII del 10 febbraio 1123, si legge che “Callisto II riconosce a Pietro abbate di S.Eufemia in Brixiensi Parrocchia in latere montis qui Dignus dicitur, i privilegi e le proprietà monastiche, cioè castrum S.Euphemiae cum capella s.Mariae, …”.
Battista Bonometti, uno dei più assidui e acuti ricercatori locali della storia del borgo, ricorda come presso l’Archivio di Stato nei notarili di Brescia, filze 5374/75, vi siano delle scritture datate tra il 1620 e il 1630 che citano in S.Eufemia la “contrata Casafuria o Cazzafuria”. Sempre Bonometti, cita una denominazione della contrada con il termine Cazaferea, come risulta dalle pergamene dell’Ospedale Maggiore (Monastero di S.Eufemia, busta 63), datate tra il 1366 e il 1382.
Una fonte viene chiamata Casaferrea, un monte Caza ferio e Caso fero, un vico Caza ferrea, un locus Casaferia e una contrada Cazaferea.
Non è difficile pensare ad un’origine comune delle varie denominazioni; ma quale?
Il toponimo è con tutta probabilità anteriore all’erezione del monastero (1008), visto che già nel 1037 si ha un documento che ne dà testimonianza.
Va notato, inoltre, che il toponimo dura a lungo, dal momento che se ne trova traccia nelle carte catastali napoleoniche del 1810 (contrata Caccia Furia).
Ricorriamo al vocabolario.
Furia (latino) significa furia, agitato, tumultuoso, ed ha come allotropo popolare foja.
Feria (latino tardo) significa festa, festività.
Foris (latino) significa fuori, all’esterno e come suffisso +foris indica la porta di qualcosa: casa, stanza, tempio, città; ingresso, apertura, entrata.
Casa (it) significa costruzione per abitazione (singola o per una comunità, quindi anche monastero).
Casa (latino) è traducibile con casupola, tenda, baracca militare.
Caso deriva da casus, avvenimento.
Il verbo fero, significa portare, condurre.
Cazza, dal latino volgare, significa mestolo di metallo.
Infine, il vocabolario dei termini celtici della Gallia cisalpina suggerisce: cassidannos - prete; cassi - amore, gioia; cassanus - quercia; casamo - seguace, cliente; cassidanno (duale) - capisquadra.
Vediamo dunque che casa significa anche monastero e se al termine accostiamo foris, nel suo significato di “fuori”, potrebbe valere come il “monastero di fuori”, ovvero fuori la città, fuori le mura. La denominazione avrebbe un suo senso preciso se si fosse in epoca più tarda, ovvero quando venne costruito il monastero di S.Eufemia dentro le mura (1438). Ma qui siamo ben oltre quattrocento anni prima dell’evento.
Debole l’idea, avanzata da taluni, di una fonte la cui acqua sarebbe stata raccolta in una cassa ferrea. I benedettini hanno costruito una vasca in muratura e più anticamente l’acqua delle fonti veniva raccolta in vasche di pietra o di mattoni.
Difficile pensare ad una casa tormentata, furiosa o ad un avvenimento turbolento.
Interessante l’accostamento tra casa e il suffisso foris. Casa+foris, potrebbe far pensare ad una postazione militare (baracca militare) alla porta, all’ingresso, all’accesso a qualcosa. Un tempio? La porta della città è troppo lontana.
Se così fosse, il toponimo potrebbe derivare da una postazione militare, nei pressi del tempio di Bacco, alla porta del tempio di Mercurio, divinità alla quale era dedicata l’area sacra proprio nella zona citata.
Il toponimo riguarda il borgo, ma anche la fonte.
Nei codici diplomatici già citati si legge: ” … et fontana que nomenatur casaferrea …”. Rossana Prestini, ricorda che nei registri dell’Ospedale Maggiore, in un documento del 1481, a proposito dell’azienda agricola dei benedettini e del monastero di S.Eufemia, si legge: “… Un appezzamento di terreno aratorio e in parte prativo e vitato, fruttifero e brolivo; con case in muratura, solai, cantine, tetti in coppi, con cortivo, corti, con un torcolo, con una chiesa chiamata chiesa di Santa Eufemia esistente in detto cortivo; con una fonte sgorgante in detto cortivo, ma anche extra detto cortivo, cioè a monte parte…”. La sorgente viene indicata come il Fontanone.
Franco Robecchi, in “Aqua Brixiana”, scrive che “i benedettini raccolsero l’acqua emergente in un’ampia vasca circolare tuttora esistente”, mentre ricorda che “in diversa posizione, più a est, fu installato il sistema di captazione moderno, oggi in disuso”.
Una fonte è rimasta attiva fino a pochi anni fa nelle adiacenze della chiesa parrocchiale e dava acqua ai lavatoi pubblici.
Robecchi fa cenno anche ad una fonte esistente nel territorio di Caionvico (Calionis Vicus), dalla quale sgorgava un litro d’acqua al secondo e che ha funzionato sino agli anni Cinquanta.
S.Eufemia, ha scritto recentemente Franco Robecchi “era, più esattamente, detta S.Eufemia della Fonte, per via di una sorgente d’acqua che vi era, evidentemente, presente, caratterizzante, antica e non minuscola. La sorgente che diede il nome al borgo di S.Eufemia è stata ritenuta, appunto sulla scorta di informazioni recenti, quella che fu anche sfruttata dall’acquedotto cittadino, posta al piede del colle che fiancheggia e costituisce il borgo, dove Via Indipendenza si salda a via S.Orsola. Il luogo è tipico dello sgorgare di gran parte delle sorgenti, dove l’acqua scorrendo nel sottosuolo di colli, trova al loro piede una frequente porta di fuoriuscita”. “Questa sorgente di S.Eufemia – prosegue Robecchi – già sfruttata da tempo imprecisato, fu meglio organizzata negli anni ‘20 del Novecento, e dopo l’aggregazione del comune al territorio municipale di Brescia, le opere furono ulteriormente migliorate, sino alla costruzione, nel 1933, di un completo vano di raccolta e di un serbatoio, posto più a monte. La fonte di S.Eufemia continuò a fornire il suo contributo alla rete degli acquedotti bresciani sino alla metà degli anni Cinquanta, quando, misteriosamente e improvvisamente, si disseccò. Il dono dell’acqua fu repentinamente negato”.
Ora, va detto, la fonte, di proprietà comunale, è stata coperta da una lastra di cemento, dopo che i locali che la contenevano sono stati destinati al gruppo della Protezione Civile. Sarebbe il caso di riportarla alla sua antica nobile funzione.
Nella fontana circolare dei benedettini l’acqua sorgiva è invece tornata a sgorgare nei primi giorni di aprile del 2001. Franco Robecchi ne dà notizia sul Giornale di Brescia sottolineando il fatto che quella che sembrava una cisterna per l’acqua piovana era invece un contenitore di acqua sorgiva. “Ebbene – scrive Robecchi – l’acqua è invece sgorgata entro quella vasca, che quindi si rivela un recinto per contenere una sorgente d’acqua, in tutto simile, anche per posizione, a quella più nota in S.Eufemia”. Da qui, la considerazione di Robecchi che il Monastero sia “nato accanto ad una sorgente di notevole portata (anche oggi la portata di uscita è di alcuni litri al secondo), tale da richiedere un canale di scolo che i frati costruirono radente alla parete nord del monastero. … Non è escluso che la vasca rotonda, nel cui centro, ripulito, è ora anche emerso un cippo sormontato da una sfera in pietra, potesse costituire una peschiera, per l’allevamento dei pesci”.
Le fonti accertate, dunque, sono in linea, sul confine dei colli con la pianura, con quella ad ovest di Rebuffone e a est di Caionvico e insistono sull’antica pista celtica, divenuta successivamente la strada romana di comunicazione con il Garda.
Quale sia la fonte che ha dato il nome al borgo non è facile da definire. Resta il fatto che le due fonti maggiori sono assai vicine l’una all’altra e segnano i confini ovest ed est dell’abitato.
Della fonte del monastero abbiamo detto. La fonte a est, ossia quella esistente ai piedi del colle all’incrocio tra le attuali vie Indipendenza, Lovatini e S.Orsola, parrebbe essere invece maggiormente legata all’area sacra; forse ne era la delimitazione a Nord - Ovest.
Va considerato che gli antichi in generale e, nello specifico, i Celti, davano molta importanza agli allineamenti geografici e celesti. Ora, se si traccia una linea ideale tra l’area sacra (campi Gasperini, ecc.) e la fonte, si nota come questa si trovi allineata all’area secondo una linea Sud-Nord che traguarda la Maddalena. Se si considera l’area non divisa dalla statale e dalla ferrovia, com’è ora, si nota come la fonte sia strettamente legata all’area, così come è stata perimetrata da Lazzaro Giacomelli e come si trovi sul suo limite a Nord, sul bordo della strada romana. Se le considerazioni sono minimamente valide, va osservato che, con tutta probabilità, la fonte antica che “parlava bene” (Eufemia), ossia la fonte oracolare, è quella inserita nell’area sacra, ossia quella al confine tra le attuali vie Indipendenza, Lovatini e S.Orsola.
Sorge una domanda: nei pressi della fonte esisteva un nucleo abitato? Un nucleo di abitazioni degli addetti all’area sacra o alla stessa fonte? Potrebbe essere questo il nucleo antico a est del borgo di S.Eufemia?
Resta il fatto che, a ben guardare le mappe catastali, l’abitato di S.Eufemia, anche in epoche recenti, si è sviluppato a ovest (nei pressi del monastero) e a est (aree di proprietà dei Colpani, mugnai e vassalli del monastero), mentre la parte centrale è rimasta libera.
Un’area sacra, una fonte oracolare, una postazione militare romana. Quando arriva Eufemia?
Giancarlo Piovanelli scrive che nel “luogo prima sacro a Mercurio, come dimostrerà Domenico Vantini nel 1808, esisteva già una piccola chiesa dedicata, a partire dall’anno 761, a S.Eufemia”.
NelCodice diplomatico longobardo II Bq Coll. 7963 (1933 Chiapparelli) – doc. n. 159 pag. 88 – Charta securitatis at promissionis 761? (Brescia) si che Sabatio arciprete custode della basilica di S.Desiderio il prete Deusdedit, rettore della basilica di S.Giovanni Evangelista e il chierico Pietro, custode della basilica di S.Eufemia, col consenso del vescovo Benedetto di Brescia fanno una promessa al monastero di S.Salvatore di Brescia circa l’uso dell’acquedotto (o delle acque, come preferisce l’Odorici).
Il riferimento è vago e la promessa circa l’uso delle acque fa pensare piuttosto ad una basilica di S.Eufemia prossima a S.Giovanni e a S.Salvatore.
Rossana Prestini ricorda che nei registri dell’Ospedale Maggiore, in un documento del 1481, a proposito dell’azienda agricola dei benedettini e del monastero di S.Eufemia, si legge: “… Un appezzamento di terreno aratorio e in parte prativo e vitato, fruttifero e brolivo; con case in muratura, solai, cantine, tetti in coppi, con cortivo, corti, con un torcolo, con una chiesa chiamata chiesa di Santa Eufemia esistente in detto cortivo; … il tutto nel detto territorio di Santa Eufemia, in contrada del Borgo, ossia del Monastero, esistente in parte sopra il territorio di Santa Eufemia, e in parte sopra le Chiusure di Brescia, a cui coerenziano: ad est in parte la chiesa di Santa Maria Elisabetta di detta terra di Santa Eufemia …”.
Notare come nel testo del 1481 si accenni ad una chiesa detta di Santa Eufemia, distinguendola da quella dedicata a Santa Maria Elisabetta.
Eufemia, “colei che parla bene” era, secondo la tradizione, una fanciulla cristiana di Calcedonia che subì il martirio durante la persecuzione di Diocleziano, all’inizio del IV secolo. Alla fanciulla, prima di essere consumata sul rogo, furono spezzati i denti e non v’è chi non veda come la pena sia correlata al nome. Alla donna che parla bene viene deformata la bocca.
Eufemia è legata alla fonte.
A Eufemia sono stati tolti i denti, ossia le è stata mutilata la bocca, così come spesso avviene nelle leggende celtiche, dove al potere, in questo caso oracolare, corrisponde una menomazione fisica.
Si ritrova in ambito celtico il tema indoeuropeo del Monocolo (il druida che vede con la vista della saggezza) e del Monco (il re Nuadha dal braccio d’argento): “ognuno dei due ha la mutilazione, dequalificante o iperqualificante, tipica della propria classe: quella del braccio per il re-dispensatore, quella dell’occhio per il druida veggente”.
La mutilazione “dequalificante o iperqualificante” di Eufemia ne fa presupporre l’origine celtica di spirito oracolare della fonte, segno, anche questo, per parafrasare l’Urbinati, di quel “substrato di costumi, di tradizioni, di usanze, di modi di agire, che forma, per così dire, la trama del tessuto che vediamo riaffiorare ad ogni momento sotto l’ordito degli elementi latini” e, nella fattispecie, cristiani.
La tradizione ha sovrapposto a questo significato simbolico, abbastanza trasparente, una serie di leggende che vorrebbero la santa tormentata in vari modi e data in pasto alle belve, le quali, anziché lacerarne le carni si sarebbero accucciate ai suoi piedi.
Sant’Eufemia, quindi, è diventata la protettrice degli uomini dalla ferocia delle belve e la sua fama s’è diffusa nei secoli in gran parte dell’Europa. Il suo culto divenne popolare fra i Longobardi ariani e la Santa divenne così la naturale protettrice dei bresciani, i quali dovevano fare i conti con i lupi e gli orsi che vivevano poco fuori dall’abitato e popolavano le pendici della Maddalena e in particolare nel chiamato Casaforis. E su quel territorio, disboscato e bonificato dai Benedettini e quindi affrancato dalla presenza degli animali feroci, sorse il monastero dedicato prima a S. Paterio e poi a Sant’Eufemia, che estendeva i suoi domini in Valverde, a Rezzato, a Boffalora e a S.Polo.
Casaforis divenne pertanto Sant’Eufemia della Fonte.
Note
La via Emilia Gallica, che proveniva da Bergamo, passava per il Mella sul ponte S.Giacomo e attraversava la città, toccava S.Eufemia e Rezzato dirigendosi verso Verona. La via Emila Gallica partiva da Burdigola (Bordeaux) e terminava a Costantinopoli.
Pier Luigi Tozzi, Storia padana antica: il territorio fra Adda e Mincio - Ed. Ceschina - 1972 -
Le due are sono conservate nel Museo Romano di Brescia
Albino Garzetti – Brescia romana – Ed. Grafo
Mercurio corrisponde al dio celtico Lug - ndr -
Nota 15, pag 17 del testo: “Il monastero benedettino e la parrocchia di S.Eufemia della Fonte dalle origini ad oggi”, Brescia, 1995 – Ed. Parrocchia di S.Eufemia della Fonte.
Margarete Riemschneider - la religione dei Celti - Società editrice Il Falco - Milano - 1979
Françoise Le Roux-Christian J. Guyonvarc’h - “La civilisation celtique” - Éditions Ouest France Univerité - 1990 -
Riferimenti tratti da: Alberto Albertini, Brescia Romana, Grafo Edizioni, 1979.
Storie Bresciane, volume V – Ed. Moretto
Comunità – n. 5-6- Giugno – Luglio 2000 – Mensile della Comunità di S.Eufemia
Melegnano.net
Sant’Eufemia della Fonte tra Settecento e Ottocento – Note di storia religiosa e civile” (Brescia – 1990)
“A S.Eufemia l’acqua ritrovata”, Giornale di Brescia – 26 aprile 2001 pag.11
“A S.Eufemia l’acqua ritrovata”, Giornale di Brescia – 26 aprile 2001 pag.11
“A S.Eufemia l’acqua ritrovata”, Giornale di Brescia – 26 aprile 2001 pag.11
Nota 15, pag 17 del testo: “Il monastero benedettino e la parrocchia di S.Eufemia della Fonte dalle origini ad oggi”, Brescia, 1995 – Ed. Parrocchia di S.Eufemia della Fonte.
Rossana Prestini, op.cit.
Françoise Le Roux-Christian J. Guyonvarc’h - “La civilisation celtique” - Éditions Ouest France Univerité - 1990 - pag 104