Silvano Danesi

Aprile 7, 2008

Cortinica - Il basilisco

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A gennaio, secondo le tradizioni, nelle valli e nelle campagne bresciane, in modo particolare in Val Saviore e in Franciacorta, si fa vivo il basilisco, un serpente che la leggenda vuole di aspetto tozzo, munito di corna di mucca e con il capo di pelle di capra, nato da un uovo deposto da un vecchio gallo e covato da un rospo velenoso. In alcune raffigurazioni il asilisco ha una testa di gallo e una coda di serpente.
Interessante, a questo proposito, ricordare che il celtico Cernunno (una delle forme del dio Lug), le cui raffigurazioni sono ben presenti in Val Camonica, è rappresentato con corna di cervo, accompagnato da un serpente con la testa d’ariete.
Interessante anche il riferimento alle divinità originarie del popolo basco, che popolò, alla fine della glaciazione, anche le zone circostanti il Sebino e la Val Camonica. Tra queste troviamo il basilisco.
Nei bestiari medievali il basilisco (da basilìskos, piccolo re – il re dei serpenti) compare come un serpente coronato, ossequiato dai suoi sudditi. Tuttavia alcune interpretazioni vogliono il serpente cornuto come simbolo della lussuria, tant’è che nel 1.400 la lue veniva chiamata il “morbo del basilisco”. In Val Saviore rimane il ricordo di antichi riti pagani del “divin biscio” e a Cevo si conserva memoria di una leggenda che vorrebbe il “serpente dell’anello” custodito in un antro da una genìa di streghe.

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Angelo Moreschi, ricordando il rito che al 5 di gennaio si svolge a Andistra, frazione di Cevo, parla del “Badilisc” come di un serpente peloso, con una grossa testa, due enormi occhi ed una bocca gigantesca. Bocca dalla quale escono, dopo una processione che porta il “mostro” per le vie del paese, i fatti salienti dell’anno, offerti al pubblico ludibrio (il “discorso del Badilisc”).
G.P. Salvini (Giornale di Brescia) descrive il misterioso animale come “corto e tozzo come un salame, con o senza zampe” e ricorda come il suo sguardo incanti e il suo alito velenoso “strini” l’erba: “tutto l’aspetto fa raggrinzire la pelle, riduce i capelli irti come il riccio di un castagno”.
Le denominazioni del Basilisco sono fra le più diverse: Bés fuì, Bés Galilì (in Franciacorta), Carbon (in Carnia), Talzelwurm o Stollwurm (in Austria e in Svizzera) e, in termini scientifici, “Eloderma europaeum”, parente dell’Eloderma sospectum, un lucertolone velenoso dei deserti americani, altrimenti chiamato Gila. Un nome, quello scientifico, che fu attribuito al Basilisco da uno zoologo austriaco, dopo che i giornali degli anni Trenta ne avevano parlato descrivendolo come lungo dai 50 ai 90 centimetri, con una coda corta e brevi zampe, tozzo, dal carattere aggressivo e dallo sguardo malevolo. Dell’animale si dovette interessare, ricorda il Salvini, anche il ministero dell’Agricoltura austriaco e nel testo di Willi Ley, “Leggende e storie di animali”, edito da Bompiani nel 1951 (la citazione è del Salvini) vengono riportate le testimonianze di chi il Basilisco lo avrebbe visto e fotografato per davvero.

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Noi lo abbiamo fotografato; non dal vivo, ovviamente, ma così come appare in un’incisione antichissima, con tutta probabilità pre romana, che è stata raccolta nell’Ottocento a Cortinica (tra Vigolo e Tavernola Bergamasca) e incastonata nella parete della Cascina Copiana di Cortinica, dove ancora oggi fa bella mostra di sé.

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