Silvano Danesi

Ottobre 20, 2009

Donne nel mondo celtico

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da ©Silvano Danesi, I Druidi custodi della Dèa – I DanaAes -  

 

“Accostandosi allo studio dei druidi – scrive Peter Berresford Ellis – giacchè essi rappresentano le concezioni religiose e la filosofia celtica precristiana, si deve sempre tenere in considerazione non soltanto l’importanza del ruolo delle donne, ma, ancor più, l’autentica centralità della loro posizione individuata nella suprema “dea madre”, simbolo della conoscenza e della libertà, e perno morale della società celtica”.[i] Abbiamo visto come la vergine, in riferimento alla Dèa, sia l’energia perennemente in azione, venerata come Virgo Paritura. Nel caso dei comuni mortali, la “vergine è la donna libera, sempre disponibile, sempre nuova, sempre possibile, simbolo di rinnovamento, di gioventù e anche, corollariamente,  della libertà sessuale”.[ii]     Un aspetto storico e sociologico assai interessante riguardante la società celtica è il ruolo che in essa svolge la donna, in sostanziale equilibrio di diritti, di doveri e di funzioni con l’uomo.Base della società celtica è la famiglia, che in Bretagna comprende tutti i parenti fino al nono grado sotto un’autorità  equivalente al pater familias latino. In Scozia la famiglia originariamente era il clan, che letteralmente significa “figli” o “discendenti” e che in seguito si è allargato sino a diventare l’equivalente di una tuath. La famiglia si chiama presso gli antichi Gaeli fine, della stessa radice di Gwynedd o Gwenedd e Cenn-fine è l’uomo più anziano della famiglia. La base della famiglia e la coppia e se apparentemente l’uomo è il capo famiglia egli non è il capo della coppia, tant’è che se la donna ha più beni del marito, il ruolo di capo famiglia spetta a lei e il marito diventa Fer-fognama, uomo di servizio. Anche in questo caso il mito si accompagna alla realtà. La regina Medbh vuole conquistare il toro per essere potente come il marito Ailill, che a sua volta possiede un possente toro. Il toro rappresenta simbolicamente, in una società di allevatori, la fecondità e quindi la ricchezza. Quando la famiglia è completa, in Irlanda prende il nome di deirbhfine  e comprende quattro generazioni, dal padre, che si chiama cenn-fine, la testa della famiglia, al pronipote. Quando si va oltre questi gradi di parentela, c’è la sciamatura e la costituzione di nuovo famiglia, con la ripartizione dei beni comuni.Più famiglie si raccolgono in una tuath, cellula politica base irlandese,  basata su una gerarchia sociale che comprende il re, uomini liberi, schiavi, beni comunitari, regolamenti, divinità della tribù.In Scozia è il clan che si evolve da famiglia in insieme di famiglie che si riferiscono ad un unico capo, il quale amministra la giustizia, chiama a raccolta gli uomini validi in caso di guerra ed è originariamente elettivo. Solo in seguito ogni capo si sceglierà un tanist, ovvero un successore designato e in epoca tarda la carica diventerà ereditaria. In ogni caso all’interno del clan non esistevano gerarchie e, “per quanto ovviamente la ricchezza non fosse distribuita in modo omogeneo, ogni suo membro era un uomo libero, pari in dignità a chiunque altro”.[iii]  I Celti non avevano la stessa nozione di Stato come noi abbiamo.La società gaelica è una società di allevatori, non è pastorale, non è agricola ma è l’intreccio delle due e questo fatto comporta il possesso comune delle terre da parte della tuath. Il contratto di soccida, ovvero del conferimento del bestiame dal proprietario a colui che lo allevava, garantiva l’ottimizzazione dell’allevamento e proprio in virtù di questo la terra poteva anche essere concessa in uso a un locatario privilegiato, che comunque doveva provvedere ai bisogni della tribù. L’individuo privilegiato riceveva teste di bestiame e si obbligava, davanti ad un druida, nei confronti del locatore con un preciso contratto A sovraintendere ai bisogni della tribù stessa o degli stranieri era un uomo nominato dal re che si chiama ospitaliere. Riguardo al fidanzamento, la donna aveva il diritto di scegliere il marito e non poteva essere maritata senza il suo consenso. Quando c’era una fanciulla da maritare veniva fatto un grande festino ed era lei che sceglieva l’eletto offrendogli dell’acqua per lavarsi le mani in un atto dal sapore magico. Le donne secondo le più antiche leggi gallesi potevano essere maritate già a dodici anni.  Nel De Bello Gallico Giulio Cesare  scrive: “Quando un uomo vuole sposare una donna, deve pagare una certa somma; ma dalla sua parte, la donna deve dare la stessa somma”.Viene fatto il conteggio della proprietà delle due parti e si custodiscono i frutti che ne derivano. Ogni coniuge deve dunque apportare la propria parte. In caso di morte del marito, la donna non è l’erede del defunto; prende la sua parte e i frutti della comunione. Lo stesso accade per l’uomo che diventa vedovo. Non c’è quindi comunione dei beni. In Irlanda l’uomo che vuole sposarsi deve depositare un diritto d’acquisto, il coibche destinato al padre della fidanzata che si marita per la prima volta. Se questa si marita per la seconda volta, il padre ha i due terzi della somma e un terzo resta alla figlia. Se si marita per la terza volta, al padre tocca la metà e la metà alla figlia e così via. Singolare il fatto, a dimostrazione della facilità con cui i matrimoni venivano combinati e scissi, che al ventunesimo matrimonio della figlia il diritto riservato al padre si estingueva.La donna irlandese,  nonostante il diritto d’acquisto depositato, non entra a far parte della famiglia del marito a differenza della donna romana,  ma continua a possedere i suoi beni. La donna in sostanza con il coibche assicura al marito semplicemente la possibilità di usufruire del proprio corpo e di essere possessore dei figli nati durante il matrimonio, ma mantiene la sua totale indipendenza. La donna irlandese apporta nel matrimonio la sua sopradote, tinnscra, ovvero l’insieme dei doni fatti dai parenti, che rimane completamente sua in caso di divorzio o di morte del marito. Anche nei paesi del Galles l’uomo pagava un diritto di acquisizione e la donna portava una dote. Nel Galles al di fuori della dote che portava con sé, la donna poteva ricevere dalla sua famiglia dei beni contrattuali, quali mobili nel senso giuridico del termine ovvero oggetti preziosi ornamenti, oggetti d’uso domestico, mobili in senso proprio e animali diversi da quelli della mandria: tutti beni resi interamente alla donna se il matrimonio si concludeva dopo il settimo anno.Per quanto riguarda il divorzio non esistevano grandi cerimonie, in quanto il matrimonio non avendo carattere sacro, era un atto essenzialmente contrattuale, sociale non religioso. Il matrimonio era un atto basato sulla libertà dei coniugi, sorta di unione libera protetta dalla legge, che era sempre possibile rompere. Il divorzio non era un ripudio, salvo casi particolarmente connotati in senso morale. In Irlanda, quando la donna non aveva dato motivo legittimo di divorzio dal marito e questo sposava un’altra donna, nel prezzo d’acquisto la prima donna otteneva dei risarcimenti. I Celti hanno sempre esitato tra la monogamia e la poligamia o la poliandria. Esisteva il concubinaggio legale e una sorta di matrimonio che valeva solo per un anno. Il concubinato non toglieva nulla al diritto della moglie legittima. La libertà sessuale era molto forte e la società celtica prima del cristianesimo non ha conosciuto la nozione di peccato.  Il ruolo della donna non si limitava ovviamente alle sue funzioni familiari,  anche se il ruolo di educatrice aveva un’importanza notevole in base anche all’istituto del fosterage, ossia dall’affidamento da parte di una famiglia ad un’altra famiglia dei propri figli a fini educativi. Del fosterage parla nel suo bel libro su San Colum Renata Zanuzzi, la quale scrive che le femiglie celtiche “sin dai più lontani tempi sono …. solite affidare i loro figli a genitori adottivi di altre tribù, in genere di rango superiore a quello d’origine, per favorire l’intreccarsi di alleanze e i matrimoni tra non consanguinei. Gli affidatari sono tenuti a farsi carico, per un piccolo compenso, dell’educazione dei fanciulli e delle fanciulle  fino rispettivamente ai diciassette e quattordici anni. Il vincolo instaurato dura tutta la vita e i fratelli restano legati da salda amicizia. Tutti solidalmente parteciperanno al sostentamento dei genitori anziani”. [iv]    


[i] Peter Berresford Ellis, Il segreto dei druidi, Piemme

[ii] Jean markale, La femme celte, Payot

[iii] Elfi e streghe di Scozia, a cura di Lorenzo Carrara, Arcana

[iv]Renata Zanuzzi, San Colombano d’Irlanda, Pontegobbo edizioni

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