Silvano Danesi

Novembre 16, 2009

Druidesse, streghe, badesse

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Da Silvano Danesi, I Druidi custodi della Dèa, IDanAes .Nella storia del mondo celtico abbiamo donne che hanno rivestito il ruolo di grandi guerriere, di regine, di diplomatiche.Controversa  la questione del ruolo delle donne come druidesse, anche se non mancano in merito studi affermativi. Walter Ruterford[1] ritiene che il druidismo sia eminentemente maschile e che esistano dei riferimenti “tardi” a druidesse. “Si dice – scrive – che una di loro avesse fornito a un giovane subalterno romano, di nome Diocleziano, l’improbabile informazione che un giorno sarebbe stato imperatore” e accenna alla credenza bretone che le corrigan, ovvero le fate, fossero un tempo druidesse, come le nove vergini profetesse che vivevano sull’Île de Sein.  Ruterford ricorda inoltre che nella conquista dell’isola di Môn (Oggi Anglesey), Tacito descrive le donne vestite di nero, dai capelli scarmigliati come Furie, che brandivano fiaccole, distinguendole dai druidi e sostiene che non vi sono druidesse nei miti e che ogni associazione tra druidismo e le donne sia gratuita.Di parere totalmente opposto è Joseph Vendryes[2], il quale sostiene che in Irlanda si è a più riprese posta la questione della ban-filid (donne-filid) e delle ban-fàithi (donne profetesse). “Così Fedelm, che gioca nel Tàin Bó Cualnge presso i guerrieri del Connacht  il  ruolo che aveva Cassandra presso i Troiani, è chiamata talvolta ban-fili (L:U: [Lebor na h Vidre, Libro della vacca bruna] L.4525) e talaltra ban-fàith (ib., L 4535); era andata in Gran Bretagna ad apprendere l’arte della profezia. Il femminile dell’irlandese file (gen. filed) appare certamente sotto la forma Veleda. E’ il nome ben conosciuto che dà Tacito ad una profetessa dei Bructeri (Hist. IV, 61 e V, 24) che, ai tempi di Vespasiano, era onorata come una divinità (Germ. 8) …. Questa Veleda doveva essere semplicemente una druidessa”.[3] “L’esistenza delle druidesse è assicurata – conclude Joseph Vendryes – nell’Histoire Auguste”[4] e ricorda che secondo Lampride Alessandro Severo ne incontrò una, secondo Vopiscus, Numeriano e Aureliano avevano consultato una druidessa e che Pomponio Mela parla di sacerdotesse. Va tuttavia notato che probabilmente le druidesse dell’Histoire Auguste erano delle chiromanti, a dimostrazione della decadenza progressiva del ruolo che ha coinvolto l’insieme della classe druidica, costretta a nascondersi. In Irlanda, fa notare  Joseph Vendryes, il termine ban-drui, donna druida, è conosciuto e nel Tàin Bó Cualnge si trova riferimento a “tre druidi uomini e tre druidi donne”, mentre nel Lebor na h-vidre si parla di “tre druidi e delle loro tre donne”. Tuttavia, asserisce Joseph Vendryes, “si incontra ban-drui altrove dove non si può che tradurre con druidesse”.[5] “Non v’è dubbio – conclude pertanto l’autore – che presso i Celti alla professione di druido come a quella di filé sono ammessi dall’inizio le donne e gli uomini”.[6]  Di druidesse illustri come Velleda, Aurimie e Arébé parla Jaques Bonvin.[7]In “Leggende della Bretagna misteriosa” si narra della Groac’h dell’isola del Lok e il curatore del testo, Gwenc’hlan Le Scouëzec in una nota scrive che il termine Groac’h o Grac’h significa propriamente “vecchia” e che questo era il titolo dato alle druidesse che avevano i loro collegi su un’isola vicina alle coste d’Armorica e che per questo l’isola era chiamata Isola di Groac’h, da cui per corruzione viene Groais o Groix. A poco a poco, fa notare Gwenc’hlan Le Scouëzec, il termine, che significa “vecchia” perdette il primitivo significato e invece di indicare una vecchia finì per designare una donna dotata di poteri sugli elementi e abitante in mezzo alle onde, come le druidesse dell’isola e successivamente una fata dell’acqua.[8] Anche le leggende relative alle streghe ci possono essere utili per capire quali ruoli potessero avere avuto le druidesse. Nel testo “Elfi e streghe di Scozia”[9] la strega Cailleach Mhor Chlibhrich getta incantesimi sugli animali, Caitir Fhranagach è “esperta in ogni sorta di magie e stregonerie” e può scatenare in un batter d’occhio la tempesta sulle colline, oppure far traboccare di fango giallastro i torrenti, mandandoli in piena anche quando non cade una goccia d’acqua. Le streghe dell’isola di Mull vengono vengono chiamate a raccolta per combattere un capitano spagnolo che vuole invadere l’isola e che si ritiene dotato di poteri magici. Le Doideagan Muileach, le streghe grigie, si radunano e costruiscono un potente incantesimo intrecciando una corda di foglie verdi di felce aquilina alla quale appendono una macina alzando la quale si scatena la tempesta. La macina, scaraventata in cielo, scatena una tempesta marina che fa naufragare la nave dell’invasore.  J.A. Mac Culloch, membro della Chiesa Episcopale, uno dei primi a studiare, agli inizi del Novecento, il mondo celtico uscendo dalle precedenti interpretazioni romantiche, per nulla tenero con i druidi, che vede più come sciamani e maghi, che come sapienti, scrive che gli autori classici del III secolo parlano di Dryades o di “druidesse” e che queste possono essere assimilate più che a delle sacerdotesse a delle profetesse. Ricorda, tuttavia,  come anche San Patrizio si sia armato contro “gli incantesimi delle donne” (brichta ban) e dei druidi e come sia possibile che in Irlanda tali donne fossero chiamate “druidesse” dal momento che si incontra il termine ban-drui. Scrive poi di donne dedite alle pratiche magiche e del fatto che la progressiva scomparsa dei druidi (a causa delle continue persecuzioni, ndr) abbia visto conservare dalle donne i loro poteri. “Tuttavia – scrive J.A. Mac Culloch – si supponeva che molte delle capacità dei druidi fossero in possesso anche dei santi e dei chierici, sia in passato che in tempi recenti. Ma le donne continuarono ad essere delle maghe quando i druidi furono scomparsi, in parte per lo spirito conservatore femminile, in parte perché, in epoca pagana, il loro lavoro si era svolto più o meno in segreto. Infine la Chiesa le mise al bando e le perseguitò”. [10]Le streghe, dunque, hanno come i druidi il potere di interagire con la natura. Ed è quanto fanno anche le badesse dei primi conventi della chiesa cristiana celtica. “Lucenti dei mistici chiarori della santità, pudiche nei candidi panni, monache e badesse dagli occhi vivaci – scrive Renata Zanuzzi – sono pur sempre le temprate guerriere dei Celti che, con l’avvento della fede cristiana, non hanno perso la loro onorata prerogativa di esuberanti custodi della fecondità terrena e delle strette porte del soprannaturale. Le donne, al pari dei loro fratelli, ereditano beni che sanno difendere con le armi in pugno. Non soffono minacce maschili ai loro diritti sociali, intellettuali, sessuali. Quando un uomo reca ingiuria ad una donna, per la legge dell’Isola [l’Irlanda, ndr] reca offesa alla donna stessa, oltre e prima che al di lei padre, o sposo o fratello. Poiché ogni danno arrecato  ad altri è riparabile con una negoziazione, il colpevole è condannato a farne ammenda pagando il giusto risarcimento sia alla donna che ai suoi parenti. Forti di una inveterata autorità sacerdotale pagana, le risolute badesse provvedono ai compiti pastorali con il medesimo fervore e pari aggravio di responsabilità degli abati. Predicano con voce sicura e squillante, impongono le mani per guarire gli ammalati. Ricche di carisma, ascoltano le confessioni, stabiliscono nei singoli casi le adeguate penitenze, a volte celebrano Messa e ordinano nuovi sacerdoti. Trascorsa l’ora del trapasso, saranno allora sepolte in pace con la dignità dei vescovi”.[11]  Appare evidente, da quanto sin qui scritto, che le persecuzioni a cui sono stati sottoposti i druidi li hanno costretti a ritirarsi in clandestinità, nel folto dei boschi e che una parte della loro tradizione è stata proseguita dalle donne,  le quali, evidentemente, per un lungo periodo, sono state meno direttamente interessate ad una falcidie che si è abbattuta sui maschi, in quanto prima l’Impero romano e poi il cristianesimo, ambedue retti da una casta di uomini, li ha ritenuti il pericolo ideologico e politico da contrastare con maggiore durezza nell’immediato. Quando in seguito la Chiesa si è resa conto che l’antica religione continuava grazie alle molte donne che, nelle campagne e sulle montagne, non avevano dimenticato parte degli antichi insegnamenti, le ha massacrate, torturate barbaramente e, infine, bruciate sui roghi. Quelle della “caccia” alle streghe è questione aperta, che riguarda direttamente i custodi delle antiche tradizioni ed è una infamia che pesa in eterno su chi l’ha voluta e perpetrata.       Possiamo, infine, concludere che, da quanto sin qui detto, pare evidente che anche nel ruolo druidico le donne non erano meno degli uomini, a ulteriore e più evidente dimostrazione di una società e di una cultura, come quelle celtica e druidica, che avevano nell’equilibrio tra il maschile e il femminile uno dei tratti più significativi. E’ anche per questo motivo, tra gli altri, che lo studio della società celtica e della saggezza druidica possono rappresentare per tutti noi, donne e uomini del terzo millennio, un riferimento importante per costruire un futuro migliore.      


[1] Walter Ruterford, Tradizioni celtiche, Tea[2] Joseph Vendryes, La religion des Celtes, Coop Breizh[3] Joseph Vendryes, La religion des Celtes, Coop Breizh[4] Joseph Vendryes, La religion des Celtes, Coop Breizh[5] Joseph Vendryes, La religion des Celtes, Coop Breizh[6] Joseph Vendryes, La religion des Celtes, Coop Breizh[7] Jaques Bonvin, Vierges Noires, Dervy[8] Leggende della Bretagna misteriosa, Arcana[9] Elfi e streghe di Scozia, a cura di Lorenzo carrara, Arcana[10] J.A. Mac Culloch, La religione dei Celti, Neri Pozza[11] Renata Zanuzzi, San Colombano d’Irlanda, Pontegobbo edizioni

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