Silvano Danesi

Novembre 17, 2009

Il Mas di Nossa

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La “Festa del mazzo”, “Mas” di Nossa, che si ripete da più di 300 anni, è l’unica manifestazione sopravvissuta in bergamasca che si richiami alle antiche festività di Calendimaggio, derivante da riti pagani che attribuivano agli alberi il potere di rendere feconda la terra e prolifiche le donne. A tener viva la manifestazione sono i “Soci del Mazzo”, una settantina di persone che la gestiscono direttamente, con la sola collaborazione della associazione turistica.La Festa del Mas si realizza nell’arco temporale che va dal 25 aprile al primo di giugno. Il 25 aprile o l’ultima domenica del mese, il “Mas”, un grande abete, viene tagliato al mattino con una speciale scure, privato dei rami più bassi e decorato con festoni multicolori. Caricato su un carro percorre, in corteo, preceduto dalla banda musicale, le vie del paese, tra gli applausi della gente. Sul sagrato della chiesa viene benedetto e portato alle falde del monte Guazza dove, in parte scortecciato, rimane alcuni giorni. Il 1° maggio gli amici del Mas si caricano sulle spalle l’abete e lo portano, percorrendo un ripido sentiero, fino al Pizzo Falò (ol Pés), piantandolo, tra spari di mortaretti, su un ripido cocuzzolo roccioso. In quella posizione il “Mas” rimane tutto il mese.
Il primo giorno di giugno gli amici del Mas, nelle ore pomeridiane, fanno a pezzi l’abete, che al calar della sera viene incendiato, dando luogo ad un grande falò. L’onore di dare alle fiamme il Mas è riservato al bambino più piccolo che si trova sul “Pés” quella la sera.
Mas, italianizzato in mazzo, potrebbe ragionevolmente derivare da mash, dialettizzazione di maggio e maggio, dal latino maius (mensis), deriva da Maius, che a sua volta deriva da Maia, la Dèa Madre di Mercurio, simbolo della Terra, la Grande Madre. Maia sembra collegata alla radice di magis da *magia, *mag, *mah (crescere). Secondo Isidoro da Maia deriverebbe il nome maiale, attribuito all’animale che, gettato nel mundus, una sorta di inghiottitoio o di pozzo, veniva sacrificato alla Dèa.[i] Mercurio corrisponde al celtico Lug, la cui madre terrena è Tailtiu, alla quale sono dedicate le festività di Lugnasad, che cadono nella prima quindicina di agosto, in un periodo corrispondente a quello delle festività di Diana (13 agosto). La festa del “maggio” corrisponde, dunque, ad antichi riti. “A primavera e al principio dell’estate, o anche a ferragosto – scrive in proposito James G. Frazer -, era ed è ancora usanza in molte parti d’Europa di andare nel bosco, tagliare un albero e portarlo al villaggio, dove viene piantato in terra tra la gioia generale; oppure il popolo taglia rami e li drizza sopra ogni casa. L’intenzione di questo costume è di portare al villaggio e a ciascuna casa tutte le benedizioni che lo spirito arboreo ha il potere di diffondere intorno. Di qui, il costume, in molti luoghi, di piantare in terra, davanti ad ogni casa, un albero di maggio o di portare l’albero di maggio nel villaggio di porta in porta, perché ogni casa riceva la sua parte di fortuna”.[ii]   In Francia, in Germania e in Svezia il rito riguarda il “Maggio della mietitura”. “E’ questo – scrive Frazier - un grande ramo o un albero intero che viene ornato con pannocchie di grano, e portato a casa dai campi su un’ultima carrettata di grano o piantato sul tetto della fattoria o del granaio dove resterà per un anno. Il Mannhardt ha dimostrato che questo ramo o quest’albero incorpora lo spirito arboreo concepito come lo spirito della vegetazione in generale, la cui influenza vivificante e fertilizzante vien diretta sopra il grano in particolare”. [iii] “In Europa – continua Frazer - si crede che il maggio apparentemente possegga poteri simili sulle donne e sopra il bestiame. Così, in molte parti della Germania, il 1° di maggio, i contadini innalzano dei «maggi» o dei «cespi di maggio» alle porte delle scuderie e delle vaccherie, uno per ogni cavallo e per ogni vacca; si crede che questo farà produrre alle vacche molto latte. Si dice che gli Irlandesi «credono che il ramo verde di un albero, piantato il 1° di maggio di fronte alla casa, farà produrre quell’estate una grande abbondanza di latte»”. [iv]Nella conoscenza delle popolazioni antiche gli alberi erano spiriti silvani, spiriti arborei, avevano coscienza di quanto accadeva loro e di quanto accadeva intorno a loro, avevano un’anima sensibile e interagivano con l’ambiente e con gli uomini in modo cosciente. E’ un’idea, questa della coscienza degli alberi, che ritorna ora in esperimenti scientifici. Da anni si è scoperto che quando ci si avvicina ad una pianta con l’intenzione di tagliarla questa e le piante ad essa vicine rivelano, attraverso elettrodi applicati in modo opportuno, uno stato di shock. Scioccate sono anche le piante d’appartamento quando vengono traslate velocemente all’interno di una stanza nei loro vasi (collocati, ad esempio, su supporti con le ruote). Lo shock può arrivare fino a determinarne lo svenimento. A Damanhur, una sorta di laboratorio vivente in Val Chiusella, con l’applicazione di sensori dei ricercatori sono riusciti a leggere la “voce” delle piante, ossia il variare di impulsi, tradotti in suoni, al variare della condizioni esterne: vento, pioggia, sole, presenza di persone, ecc. Recentemente alcuni studiosi hanno dimostrato che le piante emettono segnali chimici che agiscono sugli uomini come degli psicofarmaci, inducendo rilassamento, calma o, al contrario eccitazione. Abbracciare gli alberi, dunque, non appare più come una sorta di illusione new age, ma un esperimento di rapporto con esseri viventi in grado di agire sulla psiche umana. L’antica conoscenza degli alberi e del loro spirito non era dunque senza fondamento. In un articolo apparso sul Corriere della Sera di domenica 8 novembre 2009,  Massimo Spampani scrive che i ricercatori dell’Università del Deleware hanno scoperto che le piante sanno riconoscere le loro “sorelle” e non invadono il loro campo con le loro radici, per non sottrarre acqua e nutrimenti. Le piante comunicano tra di loro con segnali chimici e, in questo caso, con le essudazioni delle radici. La scoperta è stata pubblicata sulla rivista scientifica Communicative & Integrative Biology. Già una ricercatrice canadese, Susan Dudley, della McMaster University di Hamilton, nell’Ontario, aveva osservato che una comune pianta dei litorali, la rucola di mare (Cakile edendula) può riconoscere le piante nate dai semi della stessa pianta madre. In questo caso le piante non emettono radici che possano invadere il terreno delle piante sorelle. Ora, il gruppo di ricerca dell’Università del Deleware, guidato da Harsh Bais, ha condotto una ricerca su 3000 piante di popolazioni selvatiche, la Arabidopsis thaliana, notando che quando le sorelle crescono una vicino all’altra, spesso le foglie si toccano e si intrecciano, mentre con le piante estranee questo fenomeno non si verifica. Forse dobbiamo rassegnarci all’idea che gli spiriti silvani degli antichi non fossero molto distanti dalla realtà biologica di comportamento delle piante. Nell’antichità, dunque, l’albero aveva un’anima: lo spirito silvano. Successivamente l’albero non sarà più il corpo di un’anima, ma semplicemente la dimora dello spirito arboreo. “Quando un albero comincia a essere considerato non più come il corpo di uno spirito arboreo, ma semplicemente come la sua dimora, che egli può lasciare a piacere – commenta Frazer -, si è fatto allora un importante progresso nel pensiero religioso. L’animismo si trasforma in politeismo”. [v]In effetti quello che Frazer considera un progresso è, nei fatti, un regresso da un rapporto intimo dell’uomo con la natura e con la sua saggezza, ad una  ipostasi degli spiriti silvani, che successivamente saranno antropomorfizzati, diventano degli elementali. Regresso che porterà all’idea che il mondo sia stato creato per l’uomo e sia a sua disposizione quando, al contrario, l’uomo non è il padrone della natura, ma ne è parte, al pari di tutti gli altri esseri. L’albero, il legno, la foresta avevano grande importanza nel mondo vedico e in quello celtico. Gwydd, in gaelico, ha il significato di legno e, allo stesso tempo, di sapienza. La civiltà vedica è civiltà del legno. [vi] I druidi insegnavano nei boschi e nelle radure e il loro rapporto con la natura era intimo. Nella tradizione gallese si racconta di Gilwaethwy, uno dei figli di Dôn, il quale essendo innamorato della giovane Goevin (la vergine che permette a Math, figlio di Mathonwy, mago dei Tuatha de Danann, di vivere, mettendo i piedi nel suo grembo) con la complicità del fratello Gwyddion riesce a violarla. Math è zio di Gilwaethwy e di Gwyddion e Gwyddion lo distrae e con la scaltrezza lo allontana, consentendo al fratello la violazione. Math, maestro di magia, trasforma per punizione e temporaneamente i due fratelli in animali di sesso diverso.Math, come spiega Margarethe Riemschneider[vii], è il dio della vegetazione, riconoscibile dalla simbologia del piede nel grembo, ossia la radice nella terra. Math, dunque, maestro di magia, appartenente alla stirpe divina dei Tuatha de Danann, è il dio della vegetazione e la sua magia è la conoscenza della natura e, in particolare, della natura arborea.   Il tempio druidico era la radura del bosco. “Tra i Celti, il culto della quercia dei Druidi è familiare ad ognuno – scrive James G. Frazer – e  la loro antica parola santuario [nemeton] sembra identica nell’origine e nel significato al latino nemus, bosco o radura nel bosco, che ancora sopravvive nel nome di Nemi”[viii], dove il Re-Sacerdote, il Re del bosco, custodiva il culto di Diana Nemorensis, la Diana del bosco, cacciatrice e, in quanto tale, connessa con il cervo, la Dèa “che largiva a uomini e donne la prole e assicurava alle madri un facile parto. Sembra inoltre che il fuoco avesse una parte preponderante nel suo rituale. Infatti, durante le sue feste annuali, che si tenevano il 13 agosto, nel tempo più caldo dell’anno, il suo bosco splendeva tutto di una moltitudine di fiaccole il cui rosso bagliore si rifletteva nel lago [di Nemi, detto lo specchio di Diana, n.d.r.] e per tutta quanta l’Italia quel giorno veniva celebrato in ogni domestico focolare con riti sacri”. [ix]  Il sacro fuoco custodito da “sante vergini ardeva perpetuamente, in un tempio circolare dentro il recinto”.[x] L’albero e il fuoco. Il “maggio” e Diana. Aspetti di un’antica religione che, trasformata, continua a vivere nel folklore.  Nel mondo antico lo spirito arboreo era dotato di poteri, come tutti gli aspetti della natura, e allo spirito silvano si dedicavano riti propiziatori. I riti, nel tempo, sono diventati feste. Alla ritualità si è sostituito il folklore. L’antico spirito degli alberi, lo spirito silvano è ancora presente nella gioia di feste come quella di Nossa e del suo “maggio”.  


[i] Vedi in proposito Barbara Colonna, Dizionario etimologico, Newton

[ii] James G.Frazer, Il ramo d’oro, Boringhieri

[iii] James G.Frazer, Il ramo d’oro, Boringhieri

[iv] James G.Frazer, Il ramo d’oro, Boringhieri

[v] James G.Frazer, Il ramo d’oro, Boringhieri

[vi] Morretta, Miti indiani, Longanesi

[vii] Margarete Riemschneider, Miti pagani e miti cristiani, Rusconi

[viii] James G.Frazer, Il ramo d’oro, Boringhieri

[ix] James G.Frazer, Il ramo d’oro, Boringhieri

[x] James G.Frazer, Il ramo d’oro, Boringhieri

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